David Byrne non è esattamente un ciclista sportivo: per lui le due ruote sono belle perché inutili. E come tutte le cose inutili, arte compresa, aiutano a liberare spirito e corpo. “Quel punto d’osservazione – più rapido di una passeggiata, più lento di un viaggio in treno, mediamente più alto di quello di una persona – è diventato, negli ultimi trent’anni, la mia finestra panoramica sul mondo”, ha raccontato il leader dei Talking Heads nel suo “I Diari della Bicicletta”, edito nel 2009, fortunata incursione nel campo dell’editoria. Artista a tutto tondo, non solo musicista, Byrne ha usato la bici come mezzo di liberazione e critica sociale.
Nel 2009 David Byrne non pubblica un disco completamente suo da ormai cinque anni. Scrive, riflette, gira il mondo e lo scruta dalla sua nuova finestra panoramica. Forse ridefinisce il suo concetto di benessere, che per un ciclista in una grande città coincide spesso con la possibilità di esistere: Roma sarà pure spettacolare, ma è anche uno dei centri meno bike-friendly in cui Byrne si venga a trovare, e il piacere del panorama è spesso interrotto dal sentore di un veicolo pirata.
A Tokyo contempla le opere di Yukio Nakagawa, virtuoso dell’Ikebana, l’arte della composizione floreale, poi inforca la bicicletta e costretto dal traffico sfreccia sui marciapiedi, facendo lo slalom tra casalinghe giapponesi con sportine. Di nuovo in America, David Byrne si fa un giro a Baltimora, la sua città natale, e la ritrova morta, con un tasso d’omicidi cinque volte superiore a quello di New York. Capisce che una città che si immola alle automobili ha conseguenze per tutti, non solo per ciclisti e pedoni: le superstrade si moltiplicano e la frammentano, le scippano l’identità isolandola dalle rive di laghi, mari o fiumi presso cui un centro urbano tende naturalmente a sorgere.
L’ex Talking Heads racconta con prosa asciutta le sue esperienze in giro per il mondo, sempre in sella alla bicicletta, da Manila a Berlino passando per Londra e San Francisco. Senza dimenticare New York, dove risiede. La visione che traspare è complessa, non si tratta del mero finto radical – chic andare in bicicletta per distinguersi dalla massa. Anzi. Byrne vorrebbe che la due ruote diventasse un mezzo di trasporto di massa. A patto però di mutare le nostre città, di renderle sicure e a misura d’uomo, anzi di bambino.